Con negli occhi le immagini delle bare dei sei soldati italiani, mi chiedo ancora una volta se ha senso parlare di missioni di pace per esportare la democrazia.
Non voglio fare alcuna polemica, oggi il pensiero va solamente a quei ragazzi: il capitano Antonio Fortunato, il sergente maggiore Roberto Valente, il caporal maggiore capo Massimiliano Randino e i caporal maggiori scelti Davide Ricchiuto, Giandomenico Pistonani e Matteo Mureddu ed alle loro famiglie che presto, come sempre accaduto, rimarranno sole con il loro dolore. Per questo vorrei citare l'iniziativa del Corriere ed invitare i credenti come me, a pregare per loro.
L'Afganistan è un paese complesso e chi scrive ritiene i talebani soggetti pericolosi innanzitutto verso il loro popolo. Delle bestie, non esiterei, se potessi, ad approvare interventi armati ben più severi. Il popolo afgano non potrà che trovarsi meglio senza quei pazzi assassini al potere.
Ma tornando alla questione, come si può pensare che un processo come la costruzione di una democrazia che i popoli dell'occidente, tra alti e bassi, hanno impiegato quasi 30 secoli a realizzare, possa essere imposto con la forza nel giro di pochi anni da un esercito?
Per il rispetto dei nostri soldati caduti, dovremmo togliere almeno questo velo di disgustosa ipocrisia e chiamare questa una guerra, altro che intevento di pace.
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